sto guardando
fuori dal vetro dell'auto,
in cammino verso il sole,
e piango...
penso alla mia vita,
agli amici,
alle poche donne che ho amato,
penso a quello che mi aspetta
oltre quel sole accecante...
e la musica và tra le casse
a riempire il silenzio,
a scavarmi nell'anima
uscendo dagli occhi...
una lacrima bagna
la mia sigaretta accesa tra le labbra
e il mio fumo sà di sale sulla ferita
e mi brucia come il sole negli occhi,
come la vita nella fine,
come la morte nell'attesa...
Cos'altro potrei scrivere,
Non ne ho il diritto...
Cos'altro potrei essere,
Tutte le scuse...
Non ne ho il diritto...
Cos'altro potrei essere,
Tutte le scuse...
domenica 30 gennaio 2011
oltre i cento passi
camminare per strada, ricoperti dal rumore di fischietti e grida e musica sparata ad alto volume dalle casse di un impianto stereo montato alla meno peggio sopra il cassone di un furgone, mentre fumi e cerchi di capire.
parlare con chiunque ti si avvicini, e tutti ti sembrano cordiali, e tutti a sentirli hanno ragione, hanno le loro ragioni, che in qualche modo ti sembra convivano anche nella tua testa.
poi qualcuno accanto a te ti distoglie da discussioni infinite trascinandoti in un vicolo dove fanno una pizza al taglio da urlo, una giusta distrazione, la mattina sarà ancora lunga.
ragionare sopra ad un evento, che non è singolo e solitario, ma inserito in un contesto globale di una nazione, di un continente, le cui conseguenze ricadono su spalle troppo strette per riuscire a sopportarne il peso.
forse si è fatta troppa demagogia negli ultimi tempi sul motivo per cui venerdi 28 gennaio io camminavo, parlavo e ragionavo assieme ad un migliaio di persone per le vie di una città, ma troppi ingranaggi non girano bene, troppe ombre ristagnano nel cuore di tante persone che, anche se quel giorno erano al lavoro, hanno paura.
paura di un futuro imminente e difficilmente governabile, paura di una rappresentanza politica inesistente, da ambo le parti, paura di non riuscire più nel loro pensiero, distinguere il falso dal vero.
le stesse paure che mi hanno spinto a scendere in piazza a chiedere risposte, a cercare di capire che cosa realmente ci stia portando questa globalizzazione, e che cosa invece ci vogliono imporre con la scusa di essa.
vorrei capire se è giusto salvaguardare il singolo, o è giusto cambiare una società che il singolo lo ha abbandonato.
vorrei capire, mentre divido il pane con chi ho al fianco e bevo un bicchiere di vino, se è giusto adeguarsi, ottenendo il massimo profitto, a regole imposte e di discutibile morale, o è giusto incazzarsi e pretendere una ridiscussione di tanti valori che sono entrati nelle nostre case senza aver avuto il tempo di capirli.
ancora adesso che scrivo non sò dove stia la verità, la giustizia e la morale.
se lo sapessi punterei il dito contro qualcuno o qualcosa e sarebbe tutto più facile.
a sentirli parlare, ognuno ha ragione.
sul caso Fiat, sulla globalizzazione, sulle puttane di Berlusconi, sulla libertà di stampa, sui diritti e sui doveri.
ma nel concreto ci sono io, come milioni di persone, che vorrei capire, vorrei potermi esprimere, vorrei non dovermi vergognare, vorrei lavorare producendo ricchezza per il mio paese e per la mia famiglia, vorrei non dover guardare con sospetto ai lavoratori extracomunitari, per paura che mi portino via il lavoro, ai giudici che fanno il loro lavoro, per paura che siano strumentalizzati dalla politica, ai giornali che leggo, per paura che siano troppo di parte.
vorrei non avere paura di essere un cittadino italiano, credente ma non cattolico,favorevole alla multietnicità ma non alla sottomissione, libero ma non imbecille.
e quindi continuo a camminare, a parlare e a ragionare, portandomi ben oltre quei famosi cento passi che costarono la vita a peppino, ma che non bastarono a cambiare le cose...
parlare con chiunque ti si avvicini, e tutti ti sembrano cordiali, e tutti a sentirli hanno ragione, hanno le loro ragioni, che in qualche modo ti sembra convivano anche nella tua testa.
poi qualcuno accanto a te ti distoglie da discussioni infinite trascinandoti in un vicolo dove fanno una pizza al taglio da urlo, una giusta distrazione, la mattina sarà ancora lunga.
ragionare sopra ad un evento, che non è singolo e solitario, ma inserito in un contesto globale di una nazione, di un continente, le cui conseguenze ricadono su spalle troppo strette per riuscire a sopportarne il peso.
forse si è fatta troppa demagogia negli ultimi tempi sul motivo per cui venerdi 28 gennaio io camminavo, parlavo e ragionavo assieme ad un migliaio di persone per le vie di una città, ma troppi ingranaggi non girano bene, troppe ombre ristagnano nel cuore di tante persone che, anche se quel giorno erano al lavoro, hanno paura.
paura di un futuro imminente e difficilmente governabile, paura di una rappresentanza politica inesistente, da ambo le parti, paura di non riuscire più nel loro pensiero, distinguere il falso dal vero.
le stesse paure che mi hanno spinto a scendere in piazza a chiedere risposte, a cercare di capire che cosa realmente ci stia portando questa globalizzazione, e che cosa invece ci vogliono imporre con la scusa di essa.
vorrei capire se è giusto salvaguardare il singolo, o è giusto cambiare una società che il singolo lo ha abbandonato.
vorrei capire, mentre divido il pane con chi ho al fianco e bevo un bicchiere di vino, se è giusto adeguarsi, ottenendo il massimo profitto, a regole imposte e di discutibile morale, o è giusto incazzarsi e pretendere una ridiscussione di tanti valori che sono entrati nelle nostre case senza aver avuto il tempo di capirli.
ancora adesso che scrivo non sò dove stia la verità, la giustizia e la morale.
se lo sapessi punterei il dito contro qualcuno o qualcosa e sarebbe tutto più facile.
a sentirli parlare, ognuno ha ragione.
sul caso Fiat, sulla globalizzazione, sulle puttane di Berlusconi, sulla libertà di stampa, sui diritti e sui doveri.
ma nel concreto ci sono io, come milioni di persone, che vorrei capire, vorrei potermi esprimere, vorrei non dovermi vergognare, vorrei lavorare producendo ricchezza per il mio paese e per la mia famiglia, vorrei non dover guardare con sospetto ai lavoratori extracomunitari, per paura che mi portino via il lavoro, ai giudici che fanno il loro lavoro, per paura che siano strumentalizzati dalla politica, ai giornali che leggo, per paura che siano troppo di parte.
vorrei non avere paura di essere un cittadino italiano, credente ma non cattolico,favorevole alla multietnicità ma non alla sottomissione, libero ma non imbecille.
e quindi continuo a camminare, a parlare e a ragionare, portandomi ben oltre quei famosi cento passi che costarono la vita a peppino, ma che non bastarono a cambiare le cose...
martedì 25 gennaio 2011
a passeggio coi Pigmei
adoro chiacchierare con Stefania, davanti ad una tazza di the verde, mentre mio figlio le distrugge la casa e mia moglie si divide tra l'ascoltare, l'intervenire alla discussione e il limitare i danni di quel discolo.
la sua è una storia su cui riflettere, come tutte le storie che parlano di amara realtà e di dolci sogni.
questa matta ci racconta che a marzo si laurea, archeologia, e poi vuole fare il dottorato di ricerca nientemeno che sui Pigmei dell'africa centrale.
vuole andare in mezzo alla foresta tra queste popolazioni di indigeni e studiarne comportamenti, abitudini di vita e quant'altro.
non entro in dettagli tecnici dell'impresa, che conosco poco ed è un linguaggio a me lontano.
tante volte in questi anni di nostra amicizia ci ha parlato di questo suo sogno, di questa sua empatia per quella gente che, vivendo ancora agli albori del mondo, non rompe i coglioni a nessuno, ma in tanti li vorrebbero sterminati.
occupano spazio, territori da sfruttare con agricoltura selvaggia e deforestazione.
e lei vorrebbe far conoscere al mondo, a chi ancora non sapesse, quanto potremmo imparare da queste persone, invece di ucciderle come accade oggi.
quello di Stefania è un nobile ideale, un grande sogno, ma per realizzarlo è necessario fare i conti con la realtà.
che non ha sempre un volto gentile ed onesto, a volte è ombroso, a volte è tradito da un sorriso beffardo di chi, appena può, te lo mette nel culo.
questa realtà si chiama università italiana.
dopo anni di studio e di ottimi voti, di veri e propri esborsi di euro per le tasse universitarie, tra le più alte d'europa, di misere borse di studio, giunta alla fine, o quasi, non riesce ancora a vedere uno spiraglio di luce per i suoi progetti.
non qui in Italia, dove tra baronato e legislazioni giocattolo, una testa come la sua, come tante altre, non serve, non riesce a trovare spazio.
ed il dottorato ci dice che lo andrà a fare all'università di Parigi, perchè li per tre anni spende diciotto volte meno che non qui da noi.
perchè li la sua intelligenza la vogliono, le daranno una possibilità.
dovrà imparare il francese e trovarsi un lavoro, vivere nella città degli amanti costa caro, ma poi andrà finalmente in africa, tra quella gente che probabilmente diventerà la sua.
prima di salutarla, augurandole in bocca al lupo, le chiedo se, al raggiungere del suo sogno, tornerà mai in Italia, o nel mondo cosiddetto civile.
con un sorriso sulla porta di casa ci confida che, a passeggio coi Pigmei, la parola civiltà perde ogni senso.
non riesco a darle torto...
la sua è una storia su cui riflettere, come tutte le storie che parlano di amara realtà e di dolci sogni.
questa matta ci racconta che a marzo si laurea, archeologia, e poi vuole fare il dottorato di ricerca nientemeno che sui Pigmei dell'africa centrale.
vuole andare in mezzo alla foresta tra queste popolazioni di indigeni e studiarne comportamenti, abitudini di vita e quant'altro.
non entro in dettagli tecnici dell'impresa, che conosco poco ed è un linguaggio a me lontano.
tante volte in questi anni di nostra amicizia ci ha parlato di questo suo sogno, di questa sua empatia per quella gente che, vivendo ancora agli albori del mondo, non rompe i coglioni a nessuno, ma in tanti li vorrebbero sterminati.
occupano spazio, territori da sfruttare con agricoltura selvaggia e deforestazione.
e lei vorrebbe far conoscere al mondo, a chi ancora non sapesse, quanto potremmo imparare da queste persone, invece di ucciderle come accade oggi.
quello di Stefania è un nobile ideale, un grande sogno, ma per realizzarlo è necessario fare i conti con la realtà.
che non ha sempre un volto gentile ed onesto, a volte è ombroso, a volte è tradito da un sorriso beffardo di chi, appena può, te lo mette nel culo.
questa realtà si chiama università italiana.
dopo anni di studio e di ottimi voti, di veri e propri esborsi di euro per le tasse universitarie, tra le più alte d'europa, di misere borse di studio, giunta alla fine, o quasi, non riesce ancora a vedere uno spiraglio di luce per i suoi progetti.
non qui in Italia, dove tra baronato e legislazioni giocattolo, una testa come la sua, come tante altre, non serve, non riesce a trovare spazio.
ed il dottorato ci dice che lo andrà a fare all'università di Parigi, perchè li per tre anni spende diciotto volte meno che non qui da noi.
perchè li la sua intelligenza la vogliono, le daranno una possibilità.
dovrà imparare il francese e trovarsi un lavoro, vivere nella città degli amanti costa caro, ma poi andrà finalmente in africa, tra quella gente che probabilmente diventerà la sua.
prima di salutarla, augurandole in bocca al lupo, le chiedo se, al raggiungere del suo sogno, tornerà mai in Italia, o nel mondo cosiddetto civile.
con un sorriso sulla porta di casa ci confida che, a passeggio coi Pigmei, la parola civiltà perde ogni senso.
non riesco a darle torto...
domenica 23 gennaio 2011
Tickle, piccola storia di un ragno
Cammina veloce lungo sentieri fatti di fili di lana, deve arrivare prima che lei se ne vada, altrimenti oggi che brutta giornata.
Sopra un sasso, sotto una foglia, veloce a zig zag per non farsi vedere, per non farsi schiacciare, molti sapiens oggi sotto questo sole, ma non possono starsene nelle loro tane?
Deve fare innumerevoli cose, e lei lo stà aspettando, se ne stà andando, volerà via in un battito di ciglia, e dovrà ricominciare tutto da capo.
Non è tutta colpa sua se si è allontanato, quella farfalla era davvero bellissima, enormi occhi sulle ali fissavano il cielo mille volte al secondo, mentre Tickle cercava invano di catturarla.
Non le avrebbe fatto del male, avrebbe solo soddisfatto un istinto vecchio millenni, madre natura non fà male di proposito, prende e dà cosi come le sovviene, solo gli esseri umani sanno essere crudeli, Tickle no, Tickle prende e Tickle dà, cosi come gli sovviene, nessuna crudeltà.
Ma questo nessuno lo capiva, lo hanno sempre descritto come uno scorbutico, solitario, orripilante essere da schiacciare, e distruggere sotto spesse suole, o rinchiudere in contenitori di vetro per gioco, per tortura dice lui.
Ma ora non ha tempo da perdere in inutili risentimenti, deve correre veloce da lei, lo stà aspettando, se ne stà andando, volerà via in un battito di ciglia, e dovrà ricominciare tutto da capo.
Giù per una discesa, veloce sopra un ramo, attento alla gomma delle suole dei sapiens, accidenti a loro, ecco in lontananza casa sua, la rugiada del mattino ancora la ricopre.
Quel puntino nero sembra proprio lei, si è lei che lo ha aspettato, non poteva fuggire, non cosi, ah ah ah, ride di gusto Tickle, ora è sicuro che oggi non sarà una brutta giornata.
Salito sull’albero, dietro al rametto, c’è proprio lei che lo attende in casa sua, anzi sopra casa sua, bè non è proprio una casa, sembra più un centrino che stà sopra la tavola che stà dentro una normale casa, la tana dei sapiens.
Tipo quei centrini fatti a mano dalle anziane signore in vestaglia, che con ferri appuntiti costruiscono ed intrecciano fili con meticolosità e pazienza.
Tickle se volesse potrebbe insegnare a tutte le vecchie signore del mondo, perchè lui è un mago nell’intrecciare fili, e senza usare scomodi ferri lunghi o corti, dritti o ricurvi, ma solo le proprie dita, o zampe che dir si voglia, otto per la precisione.
Tessono veloci le trame della storia, della vita, per catturare un soffio di vento, una lacrima dal cielo, e lei.
Ormai immobile, paralizzata, le sue piccole ali inutili, diventerà la gioia di Tickle, nutrimento della vita, che a sua volta diventerà nutrimento di altra vita, e cosi via all’infinito, a chiudere quel cerchio che altro non è che vita, che vive e si brucia nel proprio fuoco.
TI PREGO, NON MI MANGIARE...
Una flebile vocina da sotto quelle ali striminzite implora pietà al nostro Tickle, ma lui non conosce ne pietà ne cattiveria, lui ha fame!
E cosi come natura dà, natura prende...
Tutto intento nel suo lauto pasto, dall’alto osserva i sapiens che camminano frettolosi avanti ed indietro e parlano e gridano, facendo un gran baccano mentre lui ora ha sonno.
La pancia piena concilia il sonno pure a lui, e vorrebbe dormire all’ombra di queste belle foglie di castagno, s’è pure levata una leggera, leggerissima brezza, ideale per un riposino.
Mentre i suoi peli si sciolgono un pò alla volta, uno ad uno i suoi occhi si chiudono, facendolo cadere in un sogno profondo.
Ricorda di quand’era piccolo e suo padre gli insegnava a tessere e cacciare ed a evitare di diventare preda.
CHI VUOI CHE CI MANGI, SIAMO BRUTTI E PELOSI...ripeteva sempre al suo babbo, quando esagerava con le paternali.
SIAMO COME NATURA CI HA FATTI, rispondeva il padre, NE PIU’ NE MENO, SE SIAMO COSI E’ PERCHE’ COSI RENDIAMO I NOSTRI SERVIGI A MAMMA NATURA...
Mamma natura, cosi la chiamava suo padre, e anche a Tickle piaceva chiamarla cosi, mamma.
D’altronde la sua madre biologica non l’aveva mai conosciuta, e poi a lui bastava la natura come mamma, chi meglio della natura poteva accudirlo e farlo crescere circondato d’amore?
Quell’amore che i sapiens proprio non vogliono sapere di dargli, lo odiano lui ne è certo, ma perchè?
Lui non ha mai fatto male a nessuno della loro specie, non è di quei ragni velenosi e cattivi di cui ha tanto sentito parlare da suo padre, certo è peloso e non proprio minuscolo, ma non è velenoso, e poi non morde.
Non senza un serio motivo, cioè la fame!
Ma forse questo i sapiens non lo sanno, forse loro lo vedono cosi, grande e brutto, e lo identificano come uno di quegli esemplari assassini che popolavano le fiabe quando lui era piccolo.
Quanto avrebbe voluto essere come loro, forte e sicuro, temuto da tutti, invincibile! Ma aveva anche paura di questi spietati lontani parenti, si diceva che alcuni di loro mangiassero addirittura i propri simili, ma com’era possibile?
Se cane non mangia cane, perchè ragno mangia ragno?
Forse che siamo simili ai sapiens, pensava, loro uccidono i loro simili, e forse a volte se li mangiano pure.
Che poi c’era una cosa, un pensiero che a Tickle proprio non riusciva di capire, perchè, come mai i sapiens si uccidono tra loro, se poi nella maggioranza dei casi non si mangiano?
Che senso ha uccidere un animale, un figlio di mamma natura, se non per cibarsi, e continuare cosi il ciclo della vita?
L’animale grosso mangia il più piccolo e cosi via, è una legge abbastanza semplice da capire, e poi c’è l’istinto che non lascia scampo, vita chiama vita, io mangio le mosche per sopravvivere, e qualche uccello o un geco un giorno mi mangeranno per sopravvivere a loro volta.
Questi erano i pensieri ed i sogni di Tickle, mentre all’ombra di una foglia sonnecchiava dopo il pasto nel mezzo del giorno, e squadre di sapiens si riversavano nelle campagne a lui sottostanti, ma non hanno mai pace?
Svegliato all’improvviso da rumori assordanti, capì in un attimo che doveva abbandonare la sua tana e la sua bellissima ragnatela, simile ad un acchiappa sogni, di quelli che facevano tanto tempo fa i capi tribù.
Doveva andarsene, e alla svelta, perchè ormai erano arrivati e non avrebbero tardato molto ad abbattere l’albero su cui riposava, non per dare la caccia a lui, ma per fare spazio a mostri di ferro che muovendosi fanno un gran baccano, e sputano lingue di fuoco facendo tremare la terra sotto le sue zampe.
Giù per il tronco veloce sotto le foglie, via in mezzo all’erba, schiva una suola di gomma, grande nemico, e scivola via mentre il giorno volge verso la sera, mentre molte vite volgono al loro termine.
Ma qui, dietro agli occhi di Tickle che tristi si allontanano, non c’è continuità, non c’è istinto, qui non si chiude il cerchio della vita, ormai c’è stata una rottura irreparabile.
Tickle si ferma un attimo su di un sasso lontano a guardarsi indietro, è triste, molto triste, pensa che oggi mamma natura ha perso, non per colpa sua, in questi casi lui può solo scappare, vita chiama vita, ma non sempre.
Mamma natura, che perfetto hai costruito il mondo intorno a te, perchè se cane non mangia cane, sapiens uccide sapiens, senza poi mangiarsi a vicenda?
Il cerchio qui si rompe, vita chiama morte, e nulla ha più senso.
Asciuga le sue mille lacrime, e tra gli spari di cannone e le bombe che esplodono, veloce sulle sue otto zampe si allontana.
Un giorno suo babbo gli disse che si chiamava guerra, ma Tickle non capisce, non può capire, lui non conosce pietà ne cattiveria, lui ha di nuovo fame...
sabato 22 gennaio 2011
sono qui, mi presento...
...e quindi non vado a parlare di me, per questo ci sono già le informazioni personali, ma del perchè ho aperto questo blog.
ho deciso di mettermi in gioco, ad un certo punto della mia vita, scrivendo, comunicando, forse semplicemente parlando a me stesso come riflesso di un anima inquieta e tranquilla.
esprimere opinioni, raccontare esperienze, parlare, credo sia il modo migliore per crescere in un età in cui tutto diventa responsabilità, in cui il futuro ti bussa alle spalle e ti accorgi di quanto sia vicino, come non lo era mai stato.
da qui l'idea di aprire un blog, non perchè lo fanno tutti o è di moda, perchè è uno dei tanti modi che abbiamo per esprimerci, seduto comodo davanti allo schermo che in qualche modo mi protegge e allo stesso tempo mi proietta verso di voi, che leggete, e quindi giudicate o semplicemente cambiate pagina.
sono quello che sono e da qui in avanti snocciolerò la mia essenza post dopo post, con testi, racconti, riflessioni e perfino qualche rara poesia, tutte le idee che affollano l'ormai inutilmente troppo piccolo mio cranio, che non riesce più a contenere il ribollir dei tini...
a voi l'aspro odor dei vini, spero possa rallegrarvi...
ho deciso di mettermi in gioco, ad un certo punto della mia vita, scrivendo, comunicando, forse semplicemente parlando a me stesso come riflesso di un anima inquieta e tranquilla.
esprimere opinioni, raccontare esperienze, parlare, credo sia il modo migliore per crescere in un età in cui tutto diventa responsabilità, in cui il futuro ti bussa alle spalle e ti accorgi di quanto sia vicino, come non lo era mai stato.
da qui l'idea di aprire un blog, non perchè lo fanno tutti o è di moda, perchè è uno dei tanti modi che abbiamo per esprimerci, seduto comodo davanti allo schermo che in qualche modo mi protegge e allo stesso tempo mi proietta verso di voi, che leggete, e quindi giudicate o semplicemente cambiate pagina.
sono quello che sono e da qui in avanti snocciolerò la mia essenza post dopo post, con testi, racconti, riflessioni e perfino qualche rara poesia, tutte le idee che affollano l'ormai inutilmente troppo piccolo mio cranio, che non riesce più a contenere il ribollir dei tini...
a voi l'aspro odor dei vini, spero possa rallegrarvi...
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