Cammina veloce lungo sentieri fatti di fili di lana, deve arrivare prima che lei se ne vada, altrimenti oggi che brutta giornata.
Sopra un sasso, sotto una foglia, veloce a zig zag per non farsi vedere, per non farsi schiacciare, molti sapiens oggi sotto questo sole, ma non possono starsene nelle loro tane?
Deve fare innumerevoli cose, e lei lo stà aspettando, se ne stà andando, volerà via in un battito di ciglia, e dovrà ricominciare tutto da capo.
Non è tutta colpa sua se si è allontanato, quella farfalla era davvero bellissima, enormi occhi sulle ali fissavano il cielo mille volte al secondo, mentre Tickle cercava invano di catturarla.
Non le avrebbe fatto del male, avrebbe solo soddisfatto un istinto vecchio millenni, madre natura non fà male di proposito, prende e dà cosi come le sovviene, solo gli esseri umani sanno essere crudeli, Tickle no, Tickle prende e Tickle dà, cosi come gli sovviene, nessuna crudeltà.
Ma questo nessuno lo capiva, lo hanno sempre descritto come uno scorbutico, solitario, orripilante essere da schiacciare, e distruggere sotto spesse suole, o rinchiudere in contenitori di vetro per gioco, per tortura dice lui.
Ma ora non ha tempo da perdere in inutili risentimenti, deve correre veloce da lei, lo stà aspettando, se ne stà andando, volerà via in un battito di ciglia, e dovrà ricominciare tutto da capo.
Giù per una discesa, veloce sopra un ramo, attento alla gomma delle suole dei sapiens, accidenti a loro, ecco in lontananza casa sua, la rugiada del mattino ancora la ricopre.
Quel puntino nero sembra proprio lei, si è lei che lo ha aspettato, non poteva fuggire, non cosi, ah ah ah, ride di gusto Tickle, ora è sicuro che oggi non sarà una brutta giornata.
Salito sull’albero, dietro al rametto, c’è proprio lei che lo attende in casa sua, anzi sopra casa sua, bè non è proprio una casa, sembra più un centrino che stà sopra la tavola che stà dentro una normale casa, la tana dei sapiens.
Tipo quei centrini fatti a mano dalle anziane signore in vestaglia, che con ferri appuntiti costruiscono ed intrecciano fili con meticolosità e pazienza.
Tickle se volesse potrebbe insegnare a tutte le vecchie signore del mondo, perchè lui è un mago nell’intrecciare fili, e senza usare scomodi ferri lunghi o corti, dritti o ricurvi, ma solo le proprie dita, o zampe che dir si voglia, otto per la precisione.
Tessono veloci le trame della storia, della vita, per catturare un soffio di vento, una lacrima dal cielo, e lei.
Ormai immobile, paralizzata, le sue piccole ali inutili, diventerà la gioia di Tickle, nutrimento della vita, che a sua volta diventerà nutrimento di altra vita, e cosi via all’infinito, a chiudere quel cerchio che altro non è che vita, che vive e si brucia nel proprio fuoco.
TI PREGO, NON MI MANGIARE...
Una flebile vocina da sotto quelle ali striminzite implora pietà al nostro Tickle, ma lui non conosce ne pietà ne cattiveria, lui ha fame!
E cosi come natura dà, natura prende...
Tutto intento nel suo lauto pasto, dall’alto osserva i sapiens che camminano frettolosi avanti ed indietro e parlano e gridano, facendo un gran baccano mentre lui ora ha sonno.
La pancia piena concilia il sonno pure a lui, e vorrebbe dormire all’ombra di queste belle foglie di castagno, s’è pure levata una leggera, leggerissima brezza, ideale per un riposino.
Mentre i suoi peli si sciolgono un pò alla volta, uno ad uno i suoi occhi si chiudono, facendolo cadere in un sogno profondo.
Ricorda di quand’era piccolo e suo padre gli insegnava a tessere e cacciare ed a evitare di diventare preda.
CHI VUOI CHE CI MANGI, SIAMO BRUTTI E PELOSI...ripeteva sempre al suo babbo, quando esagerava con le paternali.
SIAMO COME NATURA CI HA FATTI, rispondeva il padre, NE PIU’ NE MENO, SE SIAMO COSI E’ PERCHE’ COSI RENDIAMO I NOSTRI SERVIGI A MAMMA NATURA...
Mamma natura, cosi la chiamava suo padre, e anche a Tickle piaceva chiamarla cosi, mamma.
D’altronde la sua madre biologica non l’aveva mai conosciuta, e poi a lui bastava la natura come mamma, chi meglio della natura poteva accudirlo e farlo crescere circondato d’amore?
Quell’amore che i sapiens proprio non vogliono sapere di dargli, lo odiano lui ne è certo, ma perchè?
Lui non ha mai fatto male a nessuno della loro specie, non è di quei ragni velenosi e cattivi di cui ha tanto sentito parlare da suo padre, certo è peloso e non proprio minuscolo, ma non è velenoso, e poi non morde.
Non senza un serio motivo, cioè la fame!
Ma forse questo i sapiens non lo sanno, forse loro lo vedono cosi, grande e brutto, e lo identificano come uno di quegli esemplari assassini che popolavano le fiabe quando lui era piccolo.
Quanto avrebbe voluto essere come loro, forte e sicuro, temuto da tutti, invincibile! Ma aveva anche paura di questi spietati lontani parenti, si diceva che alcuni di loro mangiassero addirittura i propri simili, ma com’era possibile?
Se cane non mangia cane, perchè ragno mangia ragno?
Forse che siamo simili ai sapiens, pensava, loro uccidono i loro simili, e forse a volte se li mangiano pure.
Che poi c’era una cosa, un pensiero che a Tickle proprio non riusciva di capire, perchè, come mai i sapiens si uccidono tra loro, se poi nella maggioranza dei casi non si mangiano?
Che senso ha uccidere un animale, un figlio di mamma natura, se non per cibarsi, e continuare cosi il ciclo della vita?
L’animale grosso mangia il più piccolo e cosi via, è una legge abbastanza semplice da capire, e poi c’è l’istinto che non lascia scampo, vita chiama vita, io mangio le mosche per sopravvivere, e qualche uccello o un geco un giorno mi mangeranno per sopravvivere a loro volta.
Questi erano i pensieri ed i sogni di Tickle, mentre all’ombra di una foglia sonnecchiava dopo il pasto nel mezzo del giorno, e squadre di sapiens si riversavano nelle campagne a lui sottostanti, ma non hanno mai pace?
Svegliato all’improvviso da rumori assordanti, capì in un attimo che doveva abbandonare la sua tana e la sua bellissima ragnatela, simile ad un acchiappa sogni, di quelli che facevano tanto tempo fa i capi tribù.
Doveva andarsene, e alla svelta, perchè ormai erano arrivati e non avrebbero tardato molto ad abbattere l’albero su cui riposava, non per dare la caccia a lui, ma per fare spazio a mostri di ferro che muovendosi fanno un gran baccano, e sputano lingue di fuoco facendo tremare la terra sotto le sue zampe.
Giù per il tronco veloce sotto le foglie, via in mezzo all’erba, schiva una suola di gomma, grande nemico, e scivola via mentre il giorno volge verso la sera, mentre molte vite volgono al loro termine.
Ma qui, dietro agli occhi di Tickle che tristi si allontanano, non c’è continuità, non c’è istinto, qui non si chiude il cerchio della vita, ormai c’è stata una rottura irreparabile.
Tickle si ferma un attimo su di un sasso lontano a guardarsi indietro, è triste, molto triste, pensa che oggi mamma natura ha perso, non per colpa sua, in questi casi lui può solo scappare, vita chiama vita, ma non sempre.
Mamma natura, che perfetto hai costruito il mondo intorno a te, perchè se cane non mangia cane, sapiens uccide sapiens, senza poi mangiarsi a vicenda?
Il cerchio qui si rompe, vita chiama morte, e nulla ha più senso.
Asciuga le sue mille lacrime, e tra gli spari di cannone e le bombe che esplodono, veloce sulle sue otto zampe si allontana.
Un giorno suo babbo gli disse che si chiamava guerra, ma Tickle non capisce, non può capire, lui non conosce pietà ne cattiveria, lui ha di nuovo fame...
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