Cos'altro potrei scrivere,
Non ne ho il diritto...
Cos'altro potrei essere,
Tutte le scuse...

martedì 13 dicembre 2011

coming back

sono tornato, dopo tanto, troppo tempo, ho riattivato questo blog, come si riattiva la memoria dopo tempi bui.
non ho avuto problemi, nè avevo rinunciato a questo progetto.
ho semplicemente sospeso nel tempo questa mia discussione virtuale, mentre approfondivo discussioni umane ( e non ), caricandomi di bagagli da disfare qui, in questo angolo di web.
ho terminato di scrivere il mio primo libro, dopo due anni e mezzo di lavoro.
nel frattempo sono diventato volontario della croce rossa italiana.
continuo sempre ad essere un devoto marito, ed un padre affettuoso.
quante cose potrei raccontare, subito qui, su due tasti, ma devo ancora riordinare i miei pensieri, togliere i rami secchi dalle mie sinapsi e disfarmi di tante scuse, di tutte le scuse.
pian piano ricorderò come si scrive, e focalizzerò ciò che voglio dire, non parlerò dei treni a vapore, ne del cielo d'irlanda, o di aeromodellismo.
parlerò di vita, di futuro, di incertezze e di rabbia.
sentendomi in qualche modo davanti a quel microfono, radio Alice, che non ho mai visto, ma che voglio vivere con voi.

domenica 6 marzo 2011

e non ne posso più....cazzo...
chi di voi non ne può veramente più alzi la mano, scagli la prima pietra, colga la prima mela, fotta il proprio nemico, ma faccia qualcosa...cazzo...
non è più accettabile leggere le prime pagine dei giornali, aprire le prime pagine dei notiziari web, accendere la televisione sui tg e trovare sempre la solita merda che si propaga nell'etere o sulla carta...
la politica italiana è morta, a dodici giorni dal 150 esimo anniversario dell'unità, quest'italia è morta e sepolta, non ha più senso nemmeno scriverla con la I maiuscola, ve lo dice uno che la ama alla follia...
nella mia breve (per ora) vita, ho fatto qualche viaggio in giro per il mondo, ovunque ho sentito la mancanza di lei, nonostante tutto mi portasse lontano, chi me lo faceva fare di tornare?
eppure tornavo contento, non potevo farne a meno, ci credevo, e forse oggi ci credo ancora di più...però adesso basta...
ci sono limiti oltre i quali nemmeno Ghandi potrebbe pensare di avventurarsi, va bene diventar vecchi ma non coglioni.
e allora ribadisco il mio BASTA a questa farsa politica dove ognuno inscena il proprio teatrino pur di distogliere l'opinione pubblica dai veri problemi del bel paese, dove scagliarsi l'uno contro l'altro sembra l'unica soluzione possibile, dove a nessuno interessano davvero i sessanta milioni di cittadini che sono, di diritto e di dovere, gli unici padroni della nazione e di loro stessi!!!
fatemelo dire, vaffanculo a berlusconi e a bersani, a bossi e a di pietro, BASTA!!!
non ha più senso perdere tempo ed energie in una lotta persa in partenza, mandiamoli a casa tutti, questi sono morti che camminano, sono zombie nel giorno del non giudizio, non sono ancora suonate le trombe degli arcangeli, gli agnelli sacri non hanno ancora rotto i sigilli, questi nostri politici del cazzo non hanno alcun diritto a governare questa terra, fuori dai coglioni...
scusate la volgarità, ma non ne posso davvero più di vedere quello che accusa questo, quell'altro che dà fiducia a quest'altro solo per un tozzo di pane...
il mondo ci frana addosso, l'inflazione sale, il debito pubblico è alle stelle, l'occupazione diminuisce, le persone come me non hanno più soldi per andare a mangiarsi la pizza fuori con la famiglia, molti non riescono più a pagarsi il mutuo della casa, le banche che prima finanziavano anche winnie the pooh, ora lasciano morire di fame chiunque non abbia un reddito sufficente per non aver bisogno di loro, dove stiamo andando?
WHERE ARE WE RUNNING? lo cantava lenny kravitz anni fà ma è una domanda di moda, dove stiamo correndo?
il diciassette marzo festeggieremo la nostra identità come gli statunitensi festeggiano la loro il quattro luglio, sappiamo come loro ciò che ci apprestiamo a fare?
sappiamo realmente cosa significa unità d'italia?
sappiamo realmente cosa significa ITALIA?
forse dentro al cuore di ognuno di noi è nascosta la risposta, quel giorno sentiamoci un pò più ITALIANI, ed un pò meno noi stessi...

mercoledì 23 febbraio 2011

lavorare con lentezza

queste le parole di una vecchia canzone trasmessa più volte da Radio Alice, storica radio bolognese di fine anni 70, fonte di ispirazione di questo blog.
sono nato due anni dopo la chiusura di Radio Alice, e tutto ciò che conosco della sua storia l'ho letto su wikipedia, se allora quei ragazzi avessero avuto internet come mezzo di comunicazione, forse sarebbero riusciti a fare più danni, a smuovere più coscenze, ad essere, se possibile, ancora più incisivi.
ho scelto come sfondo del mio blog proprio una foto dall'archivio di quella radio, ragazzi che comunicano al mondo in libertà, cultura, discussioni ed opinioni senza censura, quella sottile censura di cui godiamo oggi noi.
certo io posso scrivere attraverso questo blog tutto ciò che voglio e chiunque mi segua, in tutto il mondo, lo leggerebbe, ma poi?
se scrivessi che voglio organizzare una rivoluzione, che succederebbe? se volessi insultare liberamente questo o quell'altro politico, sarei tranquillo? o farei la fine della giornalista Valeria Rossi, che si è trovata la casa piena di poliziotti?
la verità è che siamo un paese dove la libertà di stampa significa accettare liberamente bustarelle per scrivere articoli sotto dettato, reporter sans frontières ha stilato una classifica dei paesi in base alla libertà di stampa, noi italiani siamo al quarantesimo posto, un motivo ci sarà...
è disarmante guardare cinque telegiornali su sei e capire da subito come sia, con leggerezza assoluta, manipolata l'informazione a favore della nostra completa ignoranza, tu pensa alla salute che c'è chi pensa a quello a cui non pensi tu cantava Ligabue, ed è quello di cui ho già parlato in un post precedente, la macchina della nebbia.
ma non è questo che vogliamo, non è questa frenetica ricerca di gossip, questa fuorviante montagna di parole che non servono a nulla, noi vogliamo risposte, vogliamo comunicare, che significa conoscere, che significa comprendere, che significa vivere.
io voglio, imperativo assoluto, parlare in libertà, come facevano quei ragazzi nel 77 prima che una repressione politica gli tagliasse le ali, voglio vivere la mia vita impegnandomi al massimo per quella libertà che mi è sbandierata in faccia ma che sotto sotto non esiste, voglio esporre le mie idee ed ascoltare quelle degli altri, che significa crescere in un mondo più giusto, che significa migliorare...
lo sappiamo, la vita è breve, non per questo dobbiamo buttarla per rincorrere l'effimero, prendiamoci una pausa, respiriamo, basta correre, io voglio...lavorare con lentezza...

giovedì 17 febbraio 2011

le possibilità della fortuna

ho sempre pensato di essere una persona fortunata, non ho mai vinto lotterie o tombole di natale, non ho mai trovato ne quadrifogli ne centinaia di euro lungo la strada, ma ho sempre avuto tutto ciò di cui necessitava la mia esistenza.
un tetto sopra la testa, un'automobile con cui girovagare le mie serate senza meta, soldi in tasca per comperarmi ciò che desideravo, salute in abbondanza, amici, amiche, un lavoro stabile, vestiti per non sentirmi nudo, etc. etc.
ho trovato l'amore della mia vita, poi l'ho perso, poi ho trovato mia moglie, che è attualmente l'amore della mia vita, ho trovato nuovi amici, nuove case, nuovi vestiti e nuove automobili.
ho un figlio in perfetta salute, i miei parenti stanno tutti bene ( eccezion fatta per la mente ), insomma non mi posso lamentare.
non mi devo lamentare.
molta gente pensa che la fortuna siano dieci milioni di euro sul contocorrente, elisabetta canalis come fidanzata e flavio briatore come mentore.
altri pensano che la fortuna sia una salute di ferro, figli sani, tre pasti al giorno ed un bicchiere di vino buono.
altri ancora pensano che la fortuna sia essere vivi.
io credo che la fortuna, come tutte le cose, sia un idea soggettiva, non esiste una fortuna assoluta, come non esiste una verità assoluta, o l'amore assoluto.
la fortuna per ognuno di noi si misura con una base di confronto, sono fortunato rispetto a..., potrei esserlo di più rispetto a..., sono sfortunato rispetto a...
partendo da un preconcetto cattolico per cui l'invidia è una brutta bestia, mi sembra logico asserire che se mi sento fortunato lo sono rispetto a..., non mi piace pensare a quello che stà meglio di me, e quindi cerco di non lamentarmi sapendo che c'è chi stà peggio.
pertanto, dopo averlo pensato, ora sono sicuro di essere fortunato, e tutto ciò che costituisce il mio mondo me ne dà le prove.
qualcuno di quelli sopra citati potrebbe, ragionevolmente, pensare che se uno ha di più è perchè se l'è guadagnato, quindi la fortuna và conquistata.
lavoro duro sotto molti aspetti, quindi la mia fortuna la chiamo merito.
però, riflettendoci, anche altre persone che vivono in zone disagiate del mondo lavorano duro ma non riescono ad ottenere i miei risultati.
ed allora inizio a pensare in maniera diversa, inizio a concepire la parola POSSIBILITA', essendo nato in una famiglia medioborghese inserita in una società benestante, ho avuto delle possibilità che altre persone in altre parti del mondo non hanno avuto, la possibilità di essere vestito, nutrito, educato ed inserito in una società, come dicevo, benestante, ricca di possibilità.
quindi ciò che possiedo, di materiale ed immateriale, l'ho conquistato, forse meritato, partendo da una base agevolata, in qualche modo da una base di fortuna.
ho costruito la mia fortuna sopra una fortuna che non era mia, è stata una scelta del destino se sono nato in Italia invece che in Uganda o in Siberia, se i miei genitori se la cavavano bene economicamente, dandomi la possibilità di essere fortunato.
ho fatto uno strano giro di parole e ragionamenti per arrivare a dedurre, e quindi concludere, che la fortuna, come tutti sanno, è un dono del destino, che ti offre delle possibilità al momento della tua nascita, non ti resta che decidere cosa fare con il tempo che ti viene concesso.
e non è giusto ne lamentarsi ne sprecare le possibilità concesse, sarebbe un oltraggio verso chi, senza colpa, queste possibilità non le ha avute.

mercoledì 9 febbraio 2011

giovedì 3 febbraio 2011

la macchina della nebbia

c'è sempre più confusione in questa Italia dai mezzi valori ed una stupidità certificata e garantita, chi si scaglia contro questo, chi contro quell'altro, c'è chi accusa i magistrati e chi continua a fare la fortuna di avvocati e professionisti dell'Ordine.
c'è chi si vende ormai per meno di quei famigerati dieci denari, e chi con tutti i suoi denari crede di poter cambiare ciò che gli và, crede di poter fare il bello ed il cattivo tempo, grazie a giornali e televisioni "indipendenti", che nonostante una crisi economica di portata epocale imperversi sulle nostre tavole ancora oggi, ci bombardano la testa di nullità, ti raccontano la storiella di quel povero cane a cui sono successe un sacco di disgrazie, ma che alla fine qualcuno, munito di telecamera e microfono, è andato a salvarlo in quello sperduto canile di provincia.
con tutto l'amore e l'affetto che provo per ogni sorta di essere vivente presente sul nostro pianeta, non riesco più a commuovermi per queste puttanate, ci sono migliaia di specie animali in via di estinzione, uomo compreso, e dovrei provare tenerezza per un cane, o un gatto, o un cavallo?
devo proprio bermi ogni sorta di intruglio mediatico che mi viene proposto da una televisione che di libero non ha neanche più i film?
c'è troppa confusione in questo paese, dove la costituzione è trattata come un manuale d'istruzioni di una macchina troppo vecchia, ogni tanto bisogna aggiornare qualche voce dell'elenco, niente di importante, la copertina resta sempre uguale.
peccato che la "macchina" chiamata repubblica sia in realtà troppo giovane, appiccicata come una figurina nel mezzo di un europa troppo piena di doppioni, quindi senza un necessario reale motivo per essere modificata a piacimento da leggi ad personam ed interessi privati.
e il problema è che questa confusione è voluta, è cercata e studiata a tavolino dagli artificieri della nebbia.
roberto saviano parla di macchina del fango, io voglio parlare di macchina della nebbia, non quella nebbia che per anni ho visto in questi periodi ogni mattina aprendo le finestre della mia casa, ma una nebbia molto più fitta ed impenetrabile ad occhio e orecchio umano.
una fitta coltre di nebbia rimbecillente stà dilagando tra le nostre case, nei bar, nei luoghi di lavoro, nelle chiese, dio ce ne scampi, ovunque si sente l'odore acquoso ed umidiccio delle stronzate che ci vogliono far credere, che và tutto bene, che la direzione presa dalla nostra specie è giusta, che siamo in ripresa economica, che le guerre sono dispensatrici di pace, che un elevata percentuale di morti da cancro non significa niente, che il proibizionismo sia l'unica strada per salvare i nostri giovani ( me compreso ), che la massima aspirazione per mio figlio sia il grande fratello, che tanto se studia dovrà andare all'estero per sfruttare la propria intelligenza.
ci vogliono pure far credere che silvio berlusconi è gay, andiamo..
tutti sanno che per vincere l'assideramento bisogna rimanere svegli il più a lungo possibile, e questa nebbia ha lo stesso effetto, vuole addormantare le nostre coscenze, portandoci alla morte.
dobbiamo rimanere svegli, fino a quando arriverà il vento del cambiamento a spazzare via la nebbia ed a riportare il sole.

domenica 30 gennaio 2011

sto guardando

sto guardando
fuori dal vetro dell'auto,
in cammino verso il sole,
e piango...

penso alla mia vita,
agli amici,
alle poche donne che ho amato,
penso a quello che mi aspetta
oltre quel sole accecante...

e la musica và tra le casse
a riempire il silenzio,
a scavarmi nell'anima
uscendo dagli occhi...

una lacrima bagna
la mia sigaretta accesa tra le labbra
e il mio fumo sà di sale sulla ferita
e mi brucia come il sole negli occhi,
come la vita nella fine,
come la morte nell'attesa...

oltre i cento passi

camminare per strada, ricoperti dal rumore di fischietti e grida e musica sparata ad alto volume dalle casse di un impianto stereo montato alla meno peggio sopra il cassone di un furgone, mentre fumi e cerchi di capire.
parlare con chiunque ti si avvicini, e tutti ti sembrano cordiali, e tutti a sentirli hanno ragione, hanno le loro ragioni, che in qualche modo ti sembra convivano anche nella tua testa.
poi qualcuno accanto a te ti distoglie da discussioni infinite trascinandoti in un vicolo dove fanno una pizza al taglio da urlo, una giusta distrazione, la mattina sarà ancora lunga.
ragionare sopra ad un evento, che non è singolo e solitario, ma inserito in un contesto globale di una nazione, di un continente, le cui conseguenze ricadono su spalle troppo strette per riuscire a sopportarne il peso.
forse si è fatta troppa demagogia negli ultimi tempi sul motivo per cui venerdi 28 gennaio io camminavo, parlavo e ragionavo assieme ad un migliaio di persone per le vie di una città, ma troppi ingranaggi non girano bene, troppe ombre ristagnano nel cuore di tante persone che, anche se quel giorno erano al lavoro, hanno paura.
paura di un futuro imminente e difficilmente governabile, paura di una rappresentanza politica inesistente, da ambo le parti, paura di non riuscire più nel loro pensiero, distinguere il falso dal vero.
le stesse paure che mi hanno spinto a scendere in piazza a chiedere risposte, a cercare di capire che cosa realmente ci stia portando questa globalizzazione, e che cosa invece ci vogliono imporre con la scusa di essa.
vorrei capire se è giusto salvaguardare il singolo, o è giusto cambiare una società che il singolo lo ha abbandonato.
vorrei capire, mentre divido il pane con chi ho al fianco e bevo un bicchiere di vino, se è giusto adeguarsi, ottenendo il massimo profitto, a regole imposte e di discutibile morale, o è giusto incazzarsi e pretendere una ridiscussione di tanti valori che sono entrati nelle nostre case senza aver avuto il tempo di capirli.
ancora adesso che scrivo non sò dove stia la verità, la giustizia e la morale.
se lo sapessi punterei il dito contro qualcuno o qualcosa e sarebbe tutto più facile.
a sentirli parlare, ognuno ha ragione.
sul caso Fiat, sulla globalizzazione, sulle puttane di Berlusconi, sulla libertà di stampa, sui diritti e sui doveri.
ma nel concreto ci sono io, come milioni di persone, che vorrei capire, vorrei potermi esprimere, vorrei non dovermi vergognare, vorrei lavorare producendo ricchezza per il mio paese e per la mia famiglia, vorrei non dover guardare con sospetto ai lavoratori extracomunitari, per paura che mi portino via il lavoro, ai giudici che fanno il loro lavoro, per paura che siano strumentalizzati dalla politica, ai giornali che leggo, per paura che siano troppo di parte.
vorrei non avere paura di essere un cittadino italiano, credente ma non cattolico,favorevole alla multietnicità ma non alla sottomissione, libero ma non imbecille.
e quindi continuo a camminare, a parlare e a ragionare, portandomi ben oltre quei famosi cento passi che costarono la vita a peppino, ma che non bastarono a cambiare le cose...

martedì 25 gennaio 2011

a passeggio coi Pigmei

adoro chiacchierare con Stefania, davanti ad una tazza di the verde, mentre mio figlio le distrugge la casa e mia moglie si divide tra l'ascoltare, l'intervenire alla discussione e il limitare i danni di quel discolo.
la sua è una storia su cui riflettere, come tutte le storie che parlano di amara realtà e di dolci sogni.
questa matta ci racconta che a marzo si laurea, archeologia, e poi vuole fare il dottorato di ricerca nientemeno che sui Pigmei dell'africa centrale.
vuole andare in mezzo alla foresta tra queste popolazioni di indigeni e studiarne comportamenti, abitudini di vita e quant'altro.
non entro in dettagli tecnici dell'impresa, che conosco poco ed è un linguaggio a me lontano.
tante volte in questi anni di nostra amicizia ci ha parlato di questo suo sogno, di questa sua empatia per quella gente che, vivendo ancora agli albori del mondo, non rompe i coglioni a nessuno, ma in tanti li vorrebbero sterminati.
occupano spazio, territori da sfruttare con agricoltura selvaggia e deforestazione.
e lei vorrebbe far conoscere al mondo, a chi ancora non sapesse, quanto potremmo imparare da queste persone, invece di ucciderle come accade oggi.
quello di Stefania è un nobile ideale, un grande sogno, ma per realizzarlo è necessario fare i conti con la realtà.
che non ha sempre un volto gentile ed onesto, a volte è ombroso, a volte è tradito da un sorriso beffardo di chi, appena può, te lo mette nel culo.
questa realtà si chiama università italiana.
dopo anni di studio e di ottimi voti, di veri e propri esborsi di euro per le tasse universitarie, tra le più alte d'europa, di misere borse di studio, giunta alla fine, o quasi, non riesce ancora a vedere uno spiraglio di luce per i suoi progetti.
non qui in Italia, dove tra baronato e legislazioni giocattolo, una testa come la sua, come tante altre, non serve, non riesce a trovare spazio.
ed il dottorato ci dice che lo andrà a fare all'università di Parigi, perchè li per tre anni spende diciotto volte meno che non qui da noi.
perchè li la sua intelligenza la vogliono, le daranno una possibilità.
dovrà imparare il francese e trovarsi un lavoro, vivere nella città degli amanti costa caro, ma poi andrà finalmente in africa, tra quella gente che probabilmente diventerà la sua.
prima di salutarla, augurandole in bocca al lupo, le chiedo se, al raggiungere del suo sogno, tornerà mai in Italia, o nel mondo cosiddetto civile.
con un sorriso sulla porta di casa ci confida che, a passeggio coi Pigmei, la parola civiltà perde ogni senso.
non riesco a darle torto...

domenica 23 gennaio 2011

Tickle, piccola storia di un ragno

Cammina veloce lungo sentieri fatti di fili di lana, deve arrivare prima che lei se ne vada, altrimenti oggi che brutta giornata.
Sopra un sasso, sotto una foglia, veloce a zig zag per non farsi vedere, per non farsi schiacciare, molti sapiens oggi sotto questo sole, ma non possono starsene nelle loro tane?
Deve  fare innumerevoli cose, e lei lo stà aspettando, se ne stà andando, volerà via in un battito di ciglia, e dovrà ricominciare tutto da capo.
Non è tutta colpa sua se si è allontanato, quella farfalla era davvero bellissima, enormi occhi sulle ali fissavano il cielo mille volte al secondo, mentre Tickle cercava invano di catturarla.
Non le avrebbe fatto del male, avrebbe solo soddisfatto un istinto vecchio millenni, madre natura non fà male di proposito, prende e dà cosi come le sovviene, solo gli esseri umani sanno essere crudeli, Tickle no, Tickle prende e Tickle dà, cosi come gli sovviene, nessuna crudeltà.
Ma questo nessuno lo capiva, lo hanno sempre descritto come uno scorbutico, solitario, orripilante essere da schiacciare, e distruggere sotto spesse suole, o rinchiudere in contenitori di vetro per gioco, per tortura dice lui.
Ma ora non ha tempo da perdere in inutili risentimenti, deve correre veloce da lei, lo stà aspettando, se ne stà andando, volerà via in un battito di ciglia, e dovrà ricominciare tutto da capo.
Giù per una discesa, veloce sopra un ramo, attento alla gomma delle suole dei sapiens, accidenti a loro, ecco in lontananza casa sua, la rugiada del mattino ancora la ricopre.
Quel puntino nero sembra proprio lei, si è lei che lo ha aspettato, non poteva fuggire, non cosi, ah ah ah, ride di gusto Tickle, ora è sicuro che oggi non sarà una brutta giornata.
Salito sull’albero, dietro al rametto, c’è proprio lei che lo attende in casa sua, anzi sopra casa sua, bè non è proprio una casa, sembra più un centrino che stà sopra la tavola che stà dentro una normale casa, la tana dei sapiens.
Tipo quei centrini fatti a mano dalle anziane signore in vestaglia, che con ferri appuntiti costruiscono ed intrecciano fili con meticolosità e pazienza.
Tickle se volesse potrebbe insegnare a tutte le vecchie signore del mondo, perchè lui è un mago nell’intrecciare fili, e senza usare scomodi ferri lunghi o corti, dritti o ricurvi, ma solo le proprie dita, o zampe che dir si voglia, otto per la precisione.
Tessono veloci le trame della storia, della vita, per catturare un soffio di vento, una lacrima dal cielo, e lei.
Ormai immobile, paralizzata, le sue piccole ali inutili, diventerà la gioia di Tickle, nutrimento della vita, che a sua volta diventerà nutrimento di altra vita, e cosi via all’infinito, a chiudere quel cerchio che altro non è che vita, che vive e si brucia nel proprio fuoco.
TI PREGO, NON MI MANGIARE...
Una flebile vocina da sotto quelle ali striminzite implora pietà al nostro Tickle, ma lui non conosce ne pietà ne cattiveria, lui ha fame!
E cosi come natura dà, natura prende...
Tutto intento nel suo lauto pasto, dall’alto osserva i sapiens che  camminano frettolosi avanti ed indietro e parlano e gridano, facendo un gran baccano mentre lui ora ha sonno.
La pancia piena concilia il sonno pure a lui, e vorrebbe dormire all’ombra di queste belle foglie di castagno, s’è pure levata una leggera, leggerissima brezza, ideale per un riposino.
Mentre i suoi peli si sciolgono un pò alla volta, uno ad uno i suoi occhi si chiudono, facendolo cadere in un sogno profondo.
Ricorda di quand’era piccolo e suo padre gli insegnava a tessere e cacciare ed a evitare di diventare preda.
CHI VUOI CHE CI MANGI, SIAMO BRUTTI E PELOSI...ripeteva sempre al suo babbo, quando esagerava con le paternali.
SIAMO COME NATURA CI HA FATTI, rispondeva il padre, NE PIU’ NE MENO, SE SIAMO COSI E’ PERCHE’ COSI RENDIAMO I NOSTRI SERVIGI A MAMMA NATURA...
Mamma natura, cosi la chiamava suo padre, e anche a Tickle piaceva chiamarla cosi, mamma.
D’altronde la sua madre biologica non l’aveva mai conosciuta, e poi a lui bastava la natura come mamma, chi meglio della natura poteva accudirlo e farlo crescere circondato d’amore?
Quell’amore che i sapiens proprio non vogliono sapere di dargli, lo odiano lui ne è certo, ma perchè?
Lui non ha mai fatto male a nessuno della loro specie, non è di quei ragni velenosi e cattivi di cui ha tanto sentito parlare da suo padre, certo è peloso e non proprio minuscolo, ma non è velenoso, e poi non morde.
Non senza un serio motivo, cioè la fame!
Ma forse questo i sapiens non lo sanno, forse loro lo vedono cosi, grande e brutto, e lo identificano come uno di quegli esemplari assassini che popolavano le fiabe quando lui era piccolo.
Quanto avrebbe voluto essere come loro, forte e sicuro, temuto da tutti, invincibile! Ma aveva anche paura di questi spietati lontani parenti, si diceva che alcuni di loro mangiassero addirittura i propri simili, ma com’era possibile?
Se cane non mangia cane, perchè ragno mangia ragno?
Forse che siamo simili ai sapiens, pensava, loro uccidono i loro simili, e forse a volte se li mangiano pure.
Che poi c’era una cosa, un pensiero che a Tickle proprio non riusciva di capire, perchè, come mai i sapiens si uccidono tra loro, se poi nella maggioranza dei casi non si mangiano?
Che senso ha uccidere un animale, un figlio di mamma natura, se non per cibarsi, e continuare cosi il ciclo della vita?
L’animale grosso mangia il più piccolo e cosi via, è una legge abbastanza semplice da capire, e poi c’è l’istinto che non lascia scampo, vita chiama vita, io mangio le mosche per sopravvivere, e qualche uccello o un geco un giorno mi mangeranno per sopravvivere a loro volta.
Questi erano i pensieri ed i sogni di Tickle, mentre all’ombra di una foglia sonnecchiava dopo il pasto nel mezzo del giorno, e squadre di sapiens si riversavano nelle campagne a lui sottostanti, ma non hanno mai pace?
Svegliato all’improvviso da rumori assordanti, capì in un attimo che doveva abbandonare la sua tana e la sua bellissima ragnatela, simile ad un acchiappa sogni, di quelli che facevano tanto tempo fa i capi tribù.
Doveva andarsene, e alla svelta, perchè ormai erano arrivati e non avrebbero tardato molto ad abbattere l’albero su cui riposava, non per dare la caccia a lui, ma per fare spazio a mostri di ferro che muovendosi fanno un gran baccano, e sputano lingue di fuoco facendo tremare la terra sotto le sue zampe.
Giù per il tronco veloce sotto le foglie, via in mezzo all’erba, schiva una suola di gomma, grande nemico, e scivola via mentre il giorno volge verso la sera, mentre molte vite volgono al loro termine.
Ma qui, dietro agli occhi di Tickle che tristi si allontanano, non c’è continuità, non c’è istinto, qui non si chiude il cerchio della vita, ormai c’è stata una rottura irreparabile.
Tickle si ferma un attimo su di un sasso lontano a guardarsi indietro, è triste, molto triste, pensa che oggi mamma natura ha perso, non per colpa sua, in questi casi lui può solo scappare, vita chiama vita, ma non sempre.
Mamma natura, che perfetto hai costruito il mondo intorno a te, perchè se cane non mangia cane, sapiens uccide sapiens, senza poi mangiarsi a vicenda?
Il cerchio qui si rompe, vita chiama morte, e nulla ha più senso.
Asciuga le sue mille lacrime, e tra gli spari di cannone e le bombe che esplodono, veloce sulle sue otto zampe si allontana.
Un giorno suo babbo gli disse che si chiamava guerra, ma Tickle non capisce, non può capire, lui non conosce pietà ne cattiveria, lui ha di nuovo fame...

sabato 22 gennaio 2011

sono qui, mi presento...

...e quindi non vado a parlare di me, per questo ci sono già le informazioni personali, ma del perchè ho aperto questo blog.
ho deciso di mettermi in gioco, ad un certo punto della mia vita, scrivendo, comunicando, forse semplicemente parlando a me stesso come riflesso di un anima inquieta e tranquilla.
esprimere opinioni, raccontare esperienze, parlare, credo sia il modo migliore per crescere in un età in cui tutto diventa responsabilità, in cui il futuro ti bussa alle spalle e ti accorgi di quanto sia vicino, come non lo era mai stato.
da qui l'idea di aprire un blog, non perchè lo fanno tutti o è di moda, perchè è uno dei tanti modi che abbiamo per esprimerci, seduto comodo davanti allo schermo che in qualche modo mi protegge e allo stesso tempo mi proietta verso di voi, che leggete, e quindi giudicate o semplicemente cambiate pagina.
sono quello che sono e da qui in avanti snocciolerò la mia essenza post dopo post, con testi, racconti, riflessioni e perfino qualche rara poesia, tutte le idee che affollano l'ormai inutilmente troppo piccolo mio cranio, che non riesce più a contenere il ribollir dei tini...
a voi l'aspro odor dei vini, spero possa rallegrarvi...